Procreazione medicalmente assistita
SterilitàChe cos’è la Procreazione medicalmente assistita?
Questa sigla è un acronimo per Procreazione Medicalmente Assistita che indica una branca della medicina ad alto tasso di specializzazione e complessità che ha come scopo quello di consentire alle coppie con difficoltà ad avere figli in maniera naturale, di realizzare questo obiettivo attraverso delle tecniche ospedaliere specializzate. Nel nostro paese il ricorso alla PMA è disciplinato dalla legge 40 del 2004 che stabilisce espressamente la possibilità di far ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita per la soluzione delle problematiche derivanti da sterilità o infertilità.
La PMA comprende procedure che, per il livello di complessità, si distinguono in tecniche di I, II e III livello.
Tecniche di I livello:
Si caratterizzano per il fatto che la fecondazione si verifica all’interno dell’apparato riproduttivo femminile: rientrano in questa classificazione l’inseminazione intrauterina (IUI) e l’induzione alla crescita follicolare multipla.
Tecniche di II livello:
Le tecniche di secondo livello comprendono la fecondazione in vitro con trasferimento dell’embrione (FIVET). Quest’ultima comporta l’unione fra ovulo e spermatozoo in laboratorio con lo scopo di ottenere embrioni già fecondati da impiantare nell’utero. Nell’ambito delle tecniche di secondo livello rientra anche l’ICSI, ossia l’iniezione intracitoplasmatica di spermatozoi, nella quale a differenza della Fivet, gli spermatozoi e gli ovociti non sono “liberi”, ma i primi vengono iniettati nei secondi attraverso una microiniezione.
Tecniche di III livello:
Una delle tecniche di terzo livello più avanzata, invece, è rappresentata dalla Micro-TESE, che consiste in una procedura microchirurgica indicata nei casi di azoospermia non ostruttiva. Questa tecnica, che comporta l’impiego di un microscopio ad altissima risoluzione, consente il prelievo degli spermatozoi direttamente dal tessuto del testicolo. Sempre nell’ambito delle procedure di terzo livello, rientrano anche il prelievo degli ovociti per via laparascopica e il trasferimento intratubarico, sempre attraverso laparoscopia, dei gameti maschili e femminili.
Fasi della PMA (ICSI o FIVET)
• Controllo e stimolazione dell’ovulazione : gli ovociti si ottengono grazie alla stimolazione farmacologica con la somministrazione di ormoni follicolo-stimolanti accompagnata da un monitoraggio del ciclo mestruale e con la costante misurazione ecografico dello sviluppo follicolare delle ovaie.
• Fecondazione in vitro : 36 ore dopo la somministrazione dell’ormone stimolante il ginecologo ottiene gli ovociti mediante l’agoaspirazione dei follicoli con controllo ecografico vaginale. Gli ovociti così ottenuti vengono trattati dal biologo per la fecondazione degli stessi per mezzo degli spermatozoi opportunamente preparati.
• Trasferimento: una volta ottenuti gli embrioni in vitro questi vengono trasferiti per mezzo di un catetere nell’utero sotto supervisione ecografica . La legge italiana prevede il trasferimento di massimo tre embrioni.
Attualmente noi trasferiamo un embrione ed in casi particolari due per evitare gravidanza plurime che possono comportare un maggior rischio per la paziente.
• Crioconservazione : gli embrioni che non sono stati trasferiti vengono congelati in idrogeno liquido (crioconservazione) ed una volta catalogati e conservati.
• Utilizzo degli embrioni crioconservati: questi embrioni possono essere conservati in fasi successive se non si è riusciti ad essere in stato di gravidanza già al primo tentativo. La crioconservazione che viene effettuata solo in centri di alta specializzazione semplifica e rende più conveniente la procedura aumentando notevolmente le percentuali di gravidanza.
I risultati attesi
Uno dei primi argomenti da affrontare, con una coppia con problemi di infertilità che ha deciso di ricorrere alla PMA, è quello della percentuale di successo che può realmente attendersi dall’applicazione della procedura o delle procedure indicate nel loro caso. Già solo a questo livello, si rischia di confondere le idee alla coppia usando criteri diversi per valutare i risultati. Si può usare il dato che gli inglesi definiscono frequenza di “take home baby”, che in italiano si può tradurre in “bambino portato a casa”. Usando tale variabile, non ci si limita a esprimere la percentuale delle gravidanze ottenute, rispetto alle procedure di PMA applicate, ma si indica frequenza con quale si è raggiunto l’obiettivo che più interessa alle coppie: portare a casa un figlio dopo essere state sottoposte alle diverse tecniche, avere ottenuto una gravidanza e avere partorito. Insomma, la percentuale di “bambini portati a casa” forse non sarà il dato più positivo, ma è sicuramente il più significativo. Infatti, facendo riferimento ad esempio alla percentuale di gravidanze, sempre rispetto al numero di procedure applicate, si avranno valori più elevati, ma non tutte le gravidanze ottenute con la PMA si concludono con la nascita di un bambino e quindi la percentuale di gravidanze è un dato indicativo, ma non conclusivo, per prospettare alla coppia le probabilità di successo. Soprattutto nei lavori scientifici, si usano altre variabili come la percentuale di fecondazioni ottenute, ma si tratta di un dato ancora meno indicativo, per la coppia, della probabilità che hanno di avere un figlio.
Fattori che influenzano i risultati della PMA
La coppia dovrebbe essere informata anche dei fattori che influenzano in modo rilevante i risultati, a partire dall’età. Sulla base dei dati raccolti nel rapporto del 2014 del Registro Nazionale, la percentuale di gravidanze ottenute con la fecondazione in vitro nelle donne di 35 anni era del 30,8%, mentre in quelle di 43 era inferiore al 6%. L’età non riduce soltanto la probabilità di ottenere una gravidanza, ma anche quella di portarla a termine, perché aumenta il rischio di aborto. Per maggiori dettagli sui meccanismi alla base di questi limiti alla riuscita della PMA, si rimanda a quanto scritto nella scheda sulla definizione dell’infertilità. Fumo, consumo di alcool, obesità, sovrappeso e peso troppo basso riducono le percentuali di successo della PMA, come influenzano negativamente la fertilità. Per avere un’idea dell’effetto negativo del fumo, ad esempio, basta considerare che le dosi di farmaci a base di gonadotropine richieste sono più alte nelle fumatrici, rispetto alle non fumatrici. Sull’effetto negativo dell’obesità sugli esiti della PMA, i risultati delle ricerche eseguite sono meno concordi, rispetto a quelli sul fumo, ma molti esperti raccomandano una riduzione del peso prima dell’applicazione delle tecniche di riproduzione assistita. A complicare lo scenario, ci sono le note difficoltà a cambiare le abitudini di vita che spesso ostacolano l’abolizione del fumo e l’aderenza alle diete, ma il desiderio di avere figli può costituire una componente rilevante della motivazione ad affrontare quei cambiamenti. Per quanto riguarda gli effetti negativi dell’ambiente sui risultati della PMA, bisognerebbe chiarire alle coppie che, se sono state esposte ad alcune sostanze o prodotti possono attendersi risultati inferiori rispetto a chi non vi è venuto a contatto. Tutti questi chiarimenti sono di fondamentale importanza perché permettono alla coppia”regolare” le proprie attese e al medico di adattare le tecniche alle necessità del caso.